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NAZIONALI CUS: ORO NEL JUDO PER VENEZIA GRAZIE A BOLOGA

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Ogni ascolto di “Wozzeck” di Alban Berg (libretto dello stesso compositore dalla tragedia di Büchner, prima rappresentazione il 14 dicembre 1925 alla Staatsoper di Berlino) equivale ad una discesa all’inferno, ove la massa dei dannati è rappresentata da un’umanità moralmente deforme e chiusa nel proprio egoismo, avvolta da tenebre che non si aprono ad alcun raggio di luce, ad alcuna prospettiva di speranza. Questo mondo malato si coalizza nel tormentare l’ultima ruota del carro, il povero soldato Wozzeck, che, da agnello sacrificale, alla fine diventa carnefice perché gli sia tolta anche l’aureola dell’innocenza e possa così toccare il fondo dell’abiezione, nella quale i suoi persecutori sono già sprofondati. Non ci sono buoni e cattivi, insomma, in “Wozzeck”, ma solo un’umanità alienata e incosciente, che soffre o fa soffrire. Wozzeck è un poveraccio disposto a tutto pur di tirare a campare con la sua donna, Maria, e il figlioletto: sopporta il moralismo stupidamente paternalistico del Capitano, al quale fa la barba per pochi spiccioli; e si lascia tormentare dal Dottore, che non lo considera un essere umano ma una cavia da esperimenti, sottoponendolo a prove assurde e crudeli. Ciò nonostante il mondo interiore di Wozzeck, pur dando segni di uno squilibrio visionario, regge finché può fondarsi sull’amore di Maria. Quando il soldatino ne scopre l’infedeltà, piomba nella disperazione più cupa. Del resto, che fare se Maria è troppo viva, troppo bella per lui, se il Tamburmaggiore è un macho sciupafemmine, il tipo di uomo che pare fatto apposta per appagare la sensualità di lei? Ancora una volta, e fatalmente, i più forti schiacciano l’indifeso, il quale, prima del suicidio, ha anche la disgrazia estrema di uscire dalla categoria dei buoni uccidendo Maria e dannandosi così insieme ai suoi tormentatori. Sorprende che questa brutale dichiarazione di fallimento del genere umano risalga al lontano 1837, anno in cui morì il tedesco Georg Büchner lasciando incompiuto il lavoro teatrale “Woyzeck”. Büchner si ispirò ad un evento di cronaca nera, ma colpisce che una descrizione così cupa e disperata della disgregazione dell’uomo e della società sia stata concepita in piena temperie romantica, in anticipo sui tempi ed in particolare sulla crisi denunciata dall’esistenzialismo Per il suo “Wozzeck” – il nome fu ricopiato erroneamente dal manoscritto di Büchner e poi rimase come titolo dell’opera – Alban Berg rimase fedele alla fonte letteraria. Di originale c’è solo il finale, che Büchner non aveva ancora risolto: viene lasciato il suicidio del protagonista aggiunto al dramma di Büchner dopo la morte di questi e viene caricata di forza drammatica la presenza del figlioletto di Maria e di Wozzeck. Il bimbo che continua a giocare anche dopo essere stato raggiunto dalla notizia che la madre è stata trovata morta lì vicino, infatti, non ha nulla a che fare con una presunta ed artificiosa vittoria finale dell’innocenza; al contrario, rappresenta il simbolo della noncuranza assoluta, cosmica, verso l’essere umano, irrilevante per definizione, e ciò che può capitargli. Nulla importa, tutto passa, nulla ha un senso: questa sembra essere la desolata morale dell’opera di Berg, una morale tanto più fredda e cruda perché affidata a colui che per definizione non ha colpa, cioè un bimbo. Nell’opera musica e canto costruiscono la drammaturgia insieme al testo letterario e più di questo. Nel “Wozzeck” il tessuto orchestrale costituito di frammenti e segmenti sonori senza legame reciproco se non quello di una apparente ed allucinante casualità, l’abolizione di ogni riferimento tonale, i colori lugubri, inquietanti e laceranti, le sonorità strazianti, livide e sinistre, tutto ciò crea un’atmosfera di angoscia, di precarietà, di estraniazione dalla realtà; un’atmosfera da incubo, insomma. “Wozzeck” ritorna alla Fenice in occasione del centenario della prima rappresentazione e dopo una lunga pausa; l’ultima messinscena a Venezia, infatti, risale al 1992. E vi ritorna, fatto inusuale dato che ormai da tempo e non senza ragione si è affermata la prassi del rispetto della lingua originale, nella versione italiana di Alberto Mantelli, con cui l’opera fece il suo esordio nel nostro Paese. Era il 1942, al Teatro dell’Opera di Roma, con il cavarzerano Tullio Serafin sul podio e il bassanese Tito Gobbi nel ruolo del titolo. Ed è proprio la proposta di un “Wozzeck” in lingua italiana la prima ragione di interesse di questo spettacolo; una proposta, però, che non convince completamente, anche se sostenuta con entusiasmo dal maestro concertatore e direttore Markus Stenz, per la non banale ragione che così lo spettatore (italiano) ha la percezione immediata del significato della parola e della sua valenza drammatica. Ciò nonostante, rimane l’impressione che il crudo, feroce espressionismo tedesco, esaltato dalle sonorità aspre e taglienti di quella lingua, esca ridimensionato, come rimpicciolito, dall’uso dell’italiano, così morbido e rotondo; al punto che, in certi momenti, la potenza cosmica della tragedia sembra ridursi a un dramma della gelosia. Non è così, ovviamente, ma il rischio di scivolare in atmosfere lontane dalla cupa visionarietà del “Wozzeck” originale non è da sottovalutare. Con tutto questo, lo spettacolo funziona. Markus Stenz ha in pugno la partitura e, se in certi passi sembra attenuarne l’allucinata inquietudine che ne promana, in altri, specie quelli solo strumentali, spinge l’orchestra della Fenice a livelli di tensione sonora quasi insostenibile; un’orchestra ammirevole per compattezza e dedizione ad un mondo sonoro tecnicamente difficile, forse sollecitata a dare il massimo dopo lo sciopero che ha fatto saltare la prima. L’iniziativa è stata spiegata in una dichiarazione dei lavoratori del Teatro letta al pubblico, con la quale si sollecitano le dimissioni dalla carica di direttore musicale del maestro Beatrice Venezi per le modalità, invero improprie, con cui la nomina è stata loro imposta. Sono straordinariamente bravi anche tutti gli interpreti vocali, alle prese con lo “sprechstimme” - così lo chiama il maestro Stenz suppongo in luogo del più noto “sprechgesang” - di Berg, stile di canto con il quale si suppone abbiano scarsa dimestichezza, caratterizzato dall’assenza di una linea stabile e definita cui appoggiarsi. Roberto de Candia, certo abituato ad altri repertori, è un Wozzeck pienamente risolto nel suo ruolo di uomo pacifico e sottomesso spinto alla follia da una realtà più folle di lui. L’artista si butta nel cimento con tutta la dedizione possibile e il risultato lo premia. La Maria di Lidia Fridman conferma tutte le doti vocali ed attoriali della giovane artista russa, che sembra puntare alla qualifica di soprano assoluto data la vastità del repertorio che si sta costruendo, ma il cui strumento sontuoso non sembra in questa circostanza sempre a proprio agio con la frantumata vocalità berghiana. Gli altri vanno accomunati in un unico, vasto elogio: dal Capitano nevrotico e sempre teso vocalmente di Leonardo Cortellazzi al Dottore folle ed insinuante di Omar Montanari; dal Tamburmaggiore dell’eccellente Enea Scala, che si vorrebbe ancora un po’ più gradasso in scena, all’Andres sicuro di Paolo Antognetti. E ancora la Margret di Manuela Custer, dalla luminosa carriera ma questa sera un po’ flebile; lo Sciocco di Marcello Nardis, che non sbaglia mai una caratterizzazione; e poi il Primo garzone di Rocco Cavalletti e il Secondo garzone di William Corrò, entrambi bene a fuoco vocalmente e scenicamente. Un elogio a parte lo merita il bimbo di Maria, un solista del Coro dei Piccoli Cantori Veneziani istruiti da Diana D’Alessio, anche questa volta felicemente in scena accanto al Coro del Teatro, sempre da elogiare, diretto da Alfonso Caiani. L’allestimento – regia di Valentino Villa, scene di Massimo Checchetto, costumi di Elena Cicorella, disegno luci di Pasquale Mari, non vuole sorprendere proponendo soluzioni innovative e di facile effetto, ma sceglie la strada di una illustrazione semplice, chiara e suggestiva della vicenda. Gli spettatori ringraziano per una impostazione che li rispetta e si preoccupa di comunicare piuttosto che di stupire. Come spiega il regista, lo spettacolo è ambientato nello stesso anno della composizione di “Wozzeck”, il 1925, ma in Italia, per una coerenza culturale con la lingua che si usa in scena. È opportunamente rispettato il contesto militare, a sottolineare la cieca ottusità di un potere che opprime senza una ragione, per il solo fatto di esistere. E la cornice semplice e quotidiana che fa da sfondo alla tragedia è quella di un paese della provincia italiana negli anni, difficili, tormentati ma non privi di una spontanea vitalità evidenziata dalla regia, fra le due guerre mondiali. Anche la caratterizzazione dei personaggi è costruita secondo criteri per così dire tradizionali ma mai banali e con una accuratezza nella definizione degli atteggiamenti e dei movimenti che mostra la mano di un regista autentico. Fondamentale l’apporto dell’impianto scenico, che consiste in alcuni contenitori aperti verso la platea ove sono ricostruiti gli interni, come la stanza del Capitano, l’ambulatorio del Dottore, l’abitazione di Wozzeck, cui si aggiunge in alcune scene una piccola, miserabile casetta senza finestre – perché quel mondo è chiuso in se stesso senza una prospettiva di aprirsi alla speranza – che è l’abitazione di Wozzeck vista dall’esterno. Sullo sfondo, il profilo, realizzato con metodi diversi ma con esito sempre suggestivo, degli edifici di un centro abitato. Appropriati al contesto i costumi e fondamentale per l’esito dello spettacolo l’apporto delle luci, pronte ad evidenziare con efficacia le diverse atmosfere in piena sintonia con il mondo sonoro evocato da Berg. Alla serale di martedì 21 ottobre più che soddisfacente il successo di pubblico, che subito prima dell’alzata del sipario aveva riservato applausi scroscianti alla lettura della dichiarazione dei lavoratori del teatro della quale si è accennato. Adolfo Andrighetti
Torna giovedì 23 Ottobre prossimo nella Pineta di Sant’Elena, a Venezia, la tradizionale “Coppa Faganelli” di corsa campestre, giunta alla 62° edizione; organizzata dal C.U.S. (Centro Universitario Sportivo) lagunare, la manifestazione è inserita nel palinsesto “Le Città in Festa”: la manifestazione, infatti, conta sulla collaborazione di Comune, F.I.D.A.L. (Federazione Italiana Di Atletica Leggera) provinciale e Gruppo Giudici Gare. La corsa si svolgerà nella mattinata con inizio alle ore 9.45 circa ed è riservata alle scuole medie della Città Metropolitana di Venezia. Le gare sono divise in tre categorie maschili ed altrettante femminili sulle seguenti distanze: m.1000 (nati/e nel 2014); m.1500 (nati nel 2013; nate nel 2012 e 2013); m. 2000 (nati nel 2012). Quasi 450 gli studenti e le studentesse iscritti, appartenenti a 14 istituti scolastici: Convitto Marco Foscarini di Venezia; Istituto Comprensivo (I.C.) F.Morosini di Venezia; I.C. F. Morosini plesso San Provolo di Venezia; I.C. Berna di Mestre; I.C. Alpi – Gramsci - G.Volpi di Favaro Veneto; I.C. Baseggio plesso G.Strada di Malcontenta; I.C. Baseggio plesso U.Foscolo di Marghera; Istituto Cavanis di Venezia; I.C. F. Grimani - Einaudi di Marghera; I.C. F. Ongaro plesso V. Pisani del Lido di Venezia; I.C. F.Ongaro plesso P.Loredan di Pellestrina Venezia; I.C. Dante Alighieri di Venezia; I.C. Dante Alighieri di Salzano; I.C. San Girolamo di Venezia. Per ogni categoria, i primi tre classificati saranno premiati con una medaglia (oro – argento – bronzo), mentre dal 4° al 10° arrivato riceveranno una medaglietta di bronzo. Sulla base del punteggio saranno stilate le classifiche per istituto per i settori maschile, femminile ed assoluto, cui verrà assegnata la Coppa Faganelli 2025. L’edizione 2024 della manifestazione sportiva fu vinta dal plesso Pisani dell’Istituto Comprensivo Ongaro del Lido davanti al plesso Priuli dell’IC Francesco Morosini ed all’ICP Berna di Mestre.
Un anno e mezzo fa avevano annunciato la trasformazione ecologica del packaging aziendale, grazie ad ingegnose soluzioni come “dBase”, un innovativo tubo in cartone a lunghezza variabile, chiuso da un nastrino in carta riciclabile così come l’etichetta; per questo, oggi possono annunciare di avere risparmiato, in un anno, 1.500.000 confezioni di plastica, che diverranno 2 milioni nel 2026: il tutto accade nell’head quarter di Idrobase Group, azienda padovana, leader internazionale nell’utilizzo delle tecnologie dell’acqua in pressione. Ad oggi, ma il dato è in crescita, ogni cittadino comunitario smaltisce annualmente circa 36 chilogrammi di imballi in plastica, di cui solo il 40% viene riciclato; tale processo, infatti, presenta non poche criticità, perché la plastica riciclata non torna materia prima, ma per essere utilizzabile deve essere miscelata con una significativa percentuale di plastica nuova, prodotta da idrocarburi. “Ognuno deve fare la propria parte per il benessere del Pianeta – dichiara il contitolare, Bruno Gazzignato - Noi lo facciamo anche riducendo il numero degli imballaggi destinati ad accogliere pezzi e minuterie di ricambio: fatti in cartone riciclabile, i nuovi contenitori sono prodotti a chilometri zero, valorizzando il tessuto produttivo locale.” Ma non è questo l’unico traguardo raggiunto dal gruppo veneto: a Borgoricco, sede centrale della “multinazionale tascabile”, è stata infatti annunciata la nascita di Idrobase Grecia per la distribuzione degli impianti di nebulizzazione ed abbattimento delle polveri. “E’ un mercato vergine – commenta Bruno Ferrarese, l’altro contitolare di Idrobase Group – Uscita dalla terribile crisi di qualche anno fa, la Grecia ha notevoli margini di crescita. E’ un’importante scommessa di fronte alla crisi mondiale del mercato del nostro settore, caratterizzata da una sovraproduzione stimabile nel 50%, causa di crollo nei prezzi e nella qualità dei prodotti. In questo quadro bisogna posizionarsi velocemente con prodotti innovativi, gli unici in crescita nel volume d’affari.” Per questo, dalla fine dell’estate, la dinamica realtà imprenditoriale, la cui metodologia produttiva è in trasformazione grazie al metodo Lean, è già stata presente ad appuntamenti fieristici in Algeria, Germania, U.S.A., Romania; la vera sfida però è all’orizzonte. “Dal 22 al 24 Ottobre parteciperemo al salone Interclean di Shanghai, cioè affronteremo i principali competitors a casa loro – annuncia Ferrarese - In quella occasione presenteremo nuovi prodotti, frutto del made in Italy. Sarà un test probante per la risposta del mercato, che si troverà di fronte un’autentica sorpresa: la definiamo un’ostrica con la perla dentro ed in Italia sarà disponibile dalla prossima edizione di Ecomondo.”
Dopo il successo del concerto vivaldiano d’apertura torna a Cavallino Treporti il Festival delle Due Città, che proporrà (domani) sabato 20 Settembre (piazza SS. Trinità, ore 17.00) lo spettacolo di “flamenco y baile” del Mediterranea Group, che porterà sul palco l’energia musicale della Spagna con danza (Laura Guerra), chitarra (Andrea Candeli), percussioni (Corrado Ponchiroli) e flauto (Michele Serafini). Si tratta di un ensemble d’eccellenza, che trasporterà il pubblico in un viaggio emozionale alla scoperta delle radici profonde della tradizione musicale iberica. Lo spettacolo è un omaggio alla cultura gitana e al mondo evocativo di Federico García Lorca con le figure mitiche del gitano e del torero, che prendono vita tra virtuosismi musicali e la potenza espressiva del ballo; la passione del flamenco si intreccia con la raffinatezza della chitarra classica, creando un ponte fra tradizione ed innovazione musicali. Lo spettacolo, promosso dall’Amministrazione Comunale, è gratuito.
Sperimentazione e passione sono state le parole ricorrenti alla presentazione della 25° edizione del Festival delle Due Città, tenutasi a Treviso, nella sede municipale di Ca’ Sugana, presenti, insieme all’imprenditore, Bruno Ferrarese (main sponsor con il marchio Idrobase), l’Assessore alla Cultura del capoluogo della Marca, Maria Teresa De Gregorio ed il suo omologo di Cavallino Treporti, Alberto Ballarin, collegato da remoto. Infatti, come ha ricordato il Direttore Artistico, Andrea Vettoretti, per il secondo anno il Festival partirà dal litorale veneziano, raddoppiando, per altro, la proposta al pubblico: si inizierà domenica 14 Settembre alla Batteria Vettor Pisani con il Quartetto Veneziano ne “La Follia del Prete Rosso”, cui seguirà, sabato 20 Settembre, lo spettacolo “Mediterraneo” di flamenco y baile con il Mediterranea Group, in piazza SS. Trinità. Il cartellone a Treviso inizierà, venerdì 26 Settembre con lo spettacolo “Storie in un bicchiere. Vita ed opere di Ernest Hemingway”, scrittura scenica per voci recitanti, sassofoni, chitarre e percussioni di Bruno Lovadina, che cura anche la regia. Ad ospitare tale novità, così come gli altri spettacoli trevigiani, sarà l’auditorium Santa Caterina dove, sabato 27 Settembre, si esibiranno Maurizio Mastrini al pianoforte e Sandro Lazzeri alla chitarra nella performance “Ghost”. Domenica 28 Settembre tornerà la proposta del doppio concerto: sul palcoscenico saliranno il chitarrista Giovanni Seneca (“Tracce: viaggio musicale tra colto e popolare”) ed il duo Acustica Latina (“Ritmi e passioni tra Argentina e Brasile”). Venerdì 10 Ottobre, il Festival delle Due Città approderà all’auditorium Candiani di Mestre con il chitarrista spagnolo Javier Garcia Moreno (“Andalucia”), cui seguirà, sabato 11 Ottobre il doppio concerto con il chitarrista Tom Kerstens ed il duo Brillante, chitarra e mandolino. Anche quest’anno sarà la prestigiosa Sala Apollinea del Gran Teatro La Fenice di Venezia ad ospitare la tappa finale del Festival delle Due Città: domenica 19 Ottobre salirà sul palco il chitarrista e Direttore Artistico della manifestazione, Andrea Vettoretti, che presenterà, in prima nazionale, il suo, più recente progetto musicale: “The Breath of Water”. “Due le novità dell’edizione 2025 del Festival delle Due Città, acclarato punto di riferimento internazionale per il genere musicale “New Classical World”: l’apertura ad altri strumenti, da cui derival sottotitolo “Guitar & Friends” e la Young Artist Platform quando, nel weekend del Festival a Treviso, le piazze si trasformeranno in palcoscenici a cielo aperto, dove talentuosi, giovani chitarristi dei conservatori avranno la possibilità di esibirsi in concerti all’aperto, offrendo gratuitamente anche piccole lezioni di chitarra a curiosi ed appassionati” ha infine annunciato Alice Guidolin, Presidente dell’associazione Musikrooms, organizzatrice del Festival e che ha concluso, ricordando come nel corso degli anni il Festival abbia fidelizzato il proprio pubblico, potendo vantare anche significative presenze straniere.
Vivranno un’esperienza di benessere, grazie alla tecnologia “Clean Breathing” dell’italiana Idrobase Group, gli ospiti presenti a La Terrazza by Atlas Concorde nell’iconico Hotel Excelsior e spazio riservato a interviste, conferenze stampa, incontri, cocktail party durante la prossima Mostra del Cinema al Lido di Venezia. Sarà, infatti, l’impresa veneta a fornire gli originali complementi d’arredo, che illumineranno e rinfrescheranno l’area, di cui è titolare l’agenzia Joydis, senza bagnare persone ed oggetti, ma neutralizzando polveri e odori, nonché allontanando i fastidiosi insetti. Grazie al sistema ideato dall’azienda di Borgoricco nel Padovano, la finissima nebulizzazione dell’acqua verrà depurata prima dell’emissione: la fonte idrica sarà sottoposta ai raggi di uno sterilizzatore con lunghezza d’onda tale da distruggere i legami molecolari del DNA dei microorganismi dannosi, rendendoli innocui e bloccandone la riproduzione. “Siamo orgogliosi di rappresentare il made in Italy in un’occasione così prestigiosa, dimostrando ad una platea mondiale l’efficienza di una tecnologia capace di garantire un benessere completo, grazie al nostro obbiettivo aziendale del respirare aria sana” commenta Bruno Ferrarese, Contitolare di Idrobase Group, partner tecnico de La Terrazza by Atlas Concorde, durante la 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Idrobase Group, leader internazionale nell’utilizzo delle tecnologie dell’acqua in pressione, ha la sede centrale in Italia (una cinquantina di dipendenti) ed un’unità produttiva in Cina (Idrobase Ningbo con una trentina di lavoratori e lavoratrici). Insieme ad una profonda riorganizzazione del ciclo produttivo, applicando la metodologia Lean, Idrobase Group sta percorrendo nuove strategie globali che, accanto ai mercati tradizionali (già presente in 92 Paesi) ed a quello statunitense, privilegerà le produzioni su licenza con partner africani, ad iniziare dall’Algeria. Con un fatturato 2024 sui 15 milioni di euro, la “multinazionale tascabile” ha segnato +4% nel primo semestre di quest’anno, nonostante la difficile congiuntura mondiale e la conclamata crisi del settore “cleaning”.
“Da noi, Intelligenza Artificiale non si abbina a riduzione dei costi della manodopera, ma ad aumento della produttività e delle opportunità per il team aziendale in termini di attenzione al cliente e di tempo per la crescita formativa”: è con questa filosofia che gli imprenditori veneti, Bruno Ferrarese e Bruno Gazzignato, comunicano l’ingresso di AI nel gestionale di Idrobase Group per diminuire, fino al 30%, i tempi di presa in carico delle commesse. L’annuncio arriva in concomitanza con il bilancio di metà anno che, dopo un promettente avvio 2025, segna “solo” un incremento del 4% nel fatturato a causa della difficile ed incerta congiuntura mondiale. “E’ inutile nascondere che le nostre ambizioni erano altre, ma non possiamo certo lamentarci nei confronti della concorrenza in un mercato mondiale in crisi ed in trasformazione – commenta Bruno Ferrarese, Contitolare dell’azienda padovana, leader internazionale nell’utilizzo delle tecnologie per l’acqua in pressione – Ciò, che fortunatamente notiamo, è la forza del nostro brand, non a caso soggetto a ripetute contraffazioni, contro cui stiamo agendo: ad un calo del 25% nelle vendite di prodotti a basso valore aggiunto si contrappone, infatti, un incremento del 21% nei macchinari di gamma superiore, in primis quelli della linea industriale di nebulizzazione “Dolly”. Ciò significa che il cliente risparmia nella gestione ordinaria, ma quando deve investire privilegia la garanzia del made in Italy. Per questo stiamo procedendo nell’obbiettivo di realizzare, nello stabilimento di Borgoricco, una nostra linea di produzione destinata ai componenti vitali delle pompe.” Contestualmente Idrobase Group prosegue sia la transizione organizzativa dell’head quarter italiano, grazie al metodo Lean, sia l’iter per l’avvio, in Algeria, di nuove linee produttive su licenza, destinate al mercato africano.
Con il successo del Fuori Festival per un pubblico selezionato nel giardino Musikrooms di Treviso (la prima esecuzione dal vivo del progetto musicale “Nocturnal Stars” con Andrea Vettoretti alla chitarra e Riviera Lazeri al violoncello) ha preso avvio la stagione del 23° Festival Internazionale delle Due Città, una delle manifestazioni più longeve e prestigiose nel panorama musicale chitarristico (ma non solo), che partirà da Cavallino Treporti per approdare in rapida sequenza a Treviso, Mestre e Venezia, continuando a rappresentare un ponte fra tradizione ed innovazione, esplorando le nuove vie artistiche del genere musicale, definito “New Classical World”. Sotto la direzione artistica di Andrea Vettoretti, l’edizione 2025 del Festival vedrà nuove collaborazioni con artisti di fama mondiale, accompagnate da esibizioni di giovani talenti nelle “young platforms” allestite nel cuore di Treviso. Dopo la positiva esperienza dello scorso anno, Cavallino Treporti vede raddoppiati i concerti d’apertura del cartellone nello spazio della storica Batteria Vettor Pisani: domenica 14 Settembre, il Quartetto Vivaldiano presenterà la performance “La Follia del Prete Rosso”, un viaggio unico attraverso le vie del barocco, di cui l’ensemble offre un’interpretazione filologica; sabato 20 Settembre, il Mediterranea Group tornerà al Festival con i trascinanti ritmi dello spettacolo “Flamenco y Baile”, un omaggio alla cultura gitana e al mondo evocativo di Federico García Lorca, creando un ponte fra la tradizione mediterranea e l’innovazione musicale. Venerdì 26 Settembre, il Festival delle Due Città si trasferirà nel tradizionale spazio dell’ Auditorium Museo di Santa Caterina a Treviso con la novità “Storie in un bicchiere. Vita ed opere di Ernest Hemingway”, scrittura scenica, interpretata dall’attore, Bruno Lovadina accompagnato dal chitarrista peruviano David Beltran Soto Chero, dal sassofonista Maurizio Camardi e dal percussionista Valerio Galla, che impreziosiranno il racconto con sonorità mediterranee, sudamericane e caraibiche. Sabato 27 Settembre, l’Auditorium trevigiano ospiterà un’altra novità: “Ghost” con Maurizio Mastrini al pianoforte (con oltre 860 concerti nei cinque continenti e 42 milioni di ascolti su Spotify, è tra i pianisti italiani più seguiti a livello globale) e Sandro Lazzeri alla chitarra in un avvolgente connubio tra melodia e virtuosismo. Nel pomeriggio di domenica 28 Settembre tornerà la tradizione del doppio concerto a Santa Caterina: sul palco salirà dapprima il compositore e musicista di fama internazionale, Giovanni Seneca, con un recital chiamato “Tracce”, che si distingue per l’uso di diverse tipologie di chitarra, tra cui la suggestiva chitarra battente, antico strumento della tradizione del Sud Italia; a seguire sarà la volta del Duo Acústica Latina, “premio Music Award”, che fonde brazilian jazz, musica popolare sudamericana e sperimentazione sonora, distinguendosi per la raffinata ricerca timbrica e per l’uso innovativo del sistema quadrifonico, che avvolge il pubblico in un’esperienza immersiva. Dal 26 al 28 settembre, le piazze del Centro Storico di Treviso prenderanno vita grazie allo Young Platform, un progetto dedicato ai giovani talenti dei Conservatori, che con le loro esibizioni accompagneranno la città verso i grandi concerti serali del Festival. Chiusa la pagina trevigiana si aprirà quella veneziana ad iniziare dall’Auditorium Candiani di Mestre dove, venerdì 10 Ottobre, si esibirà il chitarrista andaluso, Javier Garcia Moreno, uno dei più acclamati interpreti della scena internazionale. Il giorno dopo, sabato 11 Ottobre, il doppio concerto approderà anche a Mestre: primo ad esibirsi sarà Tom Kerstens, una delle figure più affascinanti ed innovative della chitarra classica contemporanea, che, accompagnato dal Duo Brillante, eseguirà un programma tra Spagna e Balcani; alla coppia formata da chitarra e mandolino sarà poi affidata la seconda parte della serata con un repertorio, che spazia dai grandi classici alle composizioni contemporanee scritte appositamente per loro. L’epilogo del Festival sarà anche quest’anno nelle sale Apollinee del Gran Teatro La Fenice a Venezia: in collaborazione con Global Network Water Museums – Unesco, domenica 19 Ottobre, il chitarrista trevigiano e direttore artistico del Festival delle Due Città, Andrea Vettoretti, eseguirà la prima nazionale del suo più recente lavoro: “The breath of water – Il respiro dell’acqua”, un progetto che esplora tutte le forme delle risorse idriche, trattando fiumi e mari come esseri viventi e promuovendo una riflessione sulla sostenibilità ambientale.
Diffidare delle imitazioni è una pratica che ti può salvar la vita! Non è uno slogan ad effetto contro l’ “italian sounding” (fenomeno, che muove complessivamente un illecito giro d’affari per 90 miliardi di euro all’anno), ma l’allarme lanciato dall’italiana Idrobase Group dopo le reiterate segnalazioni di nebulizzatori per soluzioni detergenti, contraffatti sui mercati internazionali: riportano il marchio Idrobase, ma non sono progettati, nè prodotti dall’azienda con sede centrale a Borgoricco, nel Padovano. “Questi apparecchi possono danneggiarsi fino ad esplodere, causando danni a cose e persone – informa Bruno Ferrarese, Co-titolare del gruppo imprenditoriale veneto - Si tratta di copie imperfette dei nostri nebulizzatori, spacciati per originali in quanto falsamente marchiati Idrobase.” “Il nebulizzatore – precisa il socio, Bruno Gazzignato - è un prodotto in sè pericoloso, perché è caricato ad aria compressa: uso di lastre di ferro di spessore insufficiente, saldature approssimative, componenti in plastica o filettature malfatte possono provocare esplosioni ed avere come conseguenza gravissimi danni sia alle cose che alle persone.” L’azienda sta procedendo a denunciare, a termine di legge, distributori ed aziende, che propongano sul mercato, copie di nebulizzatori riportanti il marchio “fake” di Idrobase. Già in passato Idrobase Group, azienda leader mondiale nelle tecnologie per l’utilizzo dell’acqua in pressione e del “respirare sano”, era stata vittima di “furto d’identità aziendale” e contraffazione, cui aveva risposto, cambiando nome allo stabilimento cinese (per essere maggiormente protetta dalla normativa locale) e stampigliando il proprio marchio direttamente sui componenti, essendo le etichette troppo facilmente alterabili. L’invito, ora più che mai, è a verificare l’autenticità del prodotto prima di acquistarlo, chiamando il reparto aziendale “Qualità” o l’agente commerciale di riferimento. “Come afferma un detto cinese: si copiano solo i migliori; essere copiati è quindi un plus” conclude Ferrarese con preoccupata ironia.
Di fronte ad un’opera come ”Dialogues des Carmélites” si resta perplessi e preoccupati, tanta è la complessità e la profondità dei temi che offre alla riflessione. Si pensi soltanto al significato da attribuire alla rivoluzione francese e alle rivoluzioni in generale, oppure al confronto tra la concezione cristiana della vita ed un’altra, laica e ideologica, maturata durante l’Illuminismo ed esplosa in tutte le sue contraddizioni con il Terrore. Se poi si guarda al personaggio di Blanche, la ragazza fragile, ipersensibile, che decide di entrare in monastero per difendersi dal mondo esterno ma che, all’ultimo istante, trova il coraggio di unirsi alle consorelle nel martirio, si potrebbero aprire vaste riflessioni su un tema di assoluta attualità come il disagio della persona di fronte alla realtà, vista come un nemico da cui guardarsi. E che dire del martirio? È giusto tacciarlo di disumanità oppure rappresenta la sublime testimonianza di una volontà eroica immolata ad un ideale? E qui conviene fermarsi, perché, dal fatto storico dell’esecuzione mediante ghigliottina di sedici suore carmelitane di Compiègne avvenuta a Parigi il 17 luglio 1794, al racconto “Ultima al patibolo” che ne trasse Gertrud von le Fort (1931), al dramma di George Bernanos “Dialoghi delle carmelitane” (1948, postumo), fino all’opera di Franҫois Poulenc (Scala, 26.1.1957), autore della musica e del libretto ricavato da Bernanos, i contenuti umani e filosofici sembrano complicarsi anziché semplificarsi. Tuttavia un tema dominante forse si può rintracciare, quello della morte, alla quale potrebbe offrire una prospettiva nuova il martirio inteso nel suo significato etimologico di testimonianza, realizzata offrendo la vita per un ideale trascendente. A questa visione della morte si ispira, già nella seconda scena del primo Atto, la scelta di Blanche del nome da assumere in religione: suor Blanche dell’Agonia di Cristo. Ancora nel primo Atto, scena terza, suor Constance invita suor Blanche a donare entrambe la propria vita per quella della superiora, gravemente ammalata. E nella scena seguente, ove si assiste alla problematica, anzi terribile, agonia della superiora, quest’ultima dichiara di volere offrire la propria morte a suor Blanche. Il secondo Atto, poi, è attraversato tutto dal tema del martirio, desiderato come compimento ultimo e sublime della vita (Mère Marie de l’Incarnation); ma anche guardato con diffidenza quasi come una tentazione, un voler forzare la volontà di Dio (la nouvelle Prieure). Il terzo Atto, infine, rappresenta il trionfo del martirio, al quale le suore si votano su insistenza di Mère Marie e quindi liberamente si offrono cantando il Salve Regina nel sublime e impressionante finale. Si può affermare, quindi, che ”Dialogues des Carmélites” rappresenta una vasta e potente riflessione sulla morte vista come passaggio verso la Vita, la Vita di Dio. Attraverso il martirio, cioè la libera offerta di sé per un ideale superiore nella prospettiva dell’Eternità, il focus si sposta, dalla morte, al suo contrario. La morte, liberamente abbracciata in nome di Cristo, perde il suo pungiglione, come scrive san Paolo, e diventa il luogo ove trionfa la Vita. L’origine è il Calvario, ove il supplizio della croce accettato da Cristo diventa la fonte della salvezza universale, cioè della vita che non conosce tramonto. Alla concezione cristiana della morte come condizione per la risurrezione si contrappone nell’opera la pratica dei rivoluzionari, che la morte la usano per eliminare i nemici e terrorizzare gli avversari. I ”Dialogues des Carmélites”, al debutto a Venezia, sono proposti alla Fenice in una coproduzione con il Teatro dell’Opera di Roma per la regia di Emma Dante, anch’essa alla sua prima in laguna, le scene di Carmine Maringola, i costumi di Vanessa Sannino, il disegno luci di Cristian Zucaro, i movimenti coreografici di Sandro Maria Campagna. Lo spettacolo si tiene distante dalla logica dei cattolici Bernanos e Poulenc, preferendo vedere la domanda religiosa, cioè la domanda di assoluto, di infinito, che urge nel cuore delle carmelitane, come una componente in fondo secondaria di un più generico anelito alla libertà, che accomuna le suore come qualunque altra donna anche lontana dalla scelta religiosa. Ciò che conta, in questa visione, non è la ricerca di Dio, ma invece l’indagine sulla libertà conculcata di queste donne, che rinunciano ad essere tali in nome di un ideale astratto ed ambiguo. Di qui l’atmosfera cupa, tetra, in cui prevalentemente è immerso lo spettacolo, accentuata dalle splendide luci, con la presenza dominante di una grata che chiude il palcoscenico fino al soffitto e ai lati, a rappresentare l’angustia della vita conventuale, che serra le suore all’interno di una dimensione priva di respiro e di orizzonti umani; una grata che si ritira solo per lasciare spazio a fondali neri o comunque ad ambienti immersi nell’oscurità. E la stessa vestizione di Blanche in fondo è rappresentata come un’incarcerazione. E ancora il macabro ossario decorato di teschi in cui è deposto il cadavere della priora. E l’orribile penitenza cui la regola, al di là di ogni verosimiglianza storica, sottopone le suore, che si legano delle pietre ad una caviglia costringendosi così a claudicare; e quelle carmelitane che di tanto in tanto attraversano il palcoscenico piegate a novanta gradi spingendo questi strumenti di tortura, sono il simbolo di una concezione femminile degradante e in fondo disumana. Anche il grande crocifisso che spesso incombe dall’alto sul palcoscenico e oscilla minacciosamente nei momenti più gravi della vita della comunità sembra incarnare l’oppressione insita in una concezione religiosa della vita, così come la sacra esaltazione delle suore, espressa con la tensione di tutta la loro persona ad afferrare, a toccare la divina persona o il suo simulacro, sembra l’espressione di un fanatismo spaventoso ed irragionevole: tant’è vero che il crocifisso all’inizio dell’opera sparisce come fagocitato all’interno di quell’abbraccio irragionevole, mentre, più avanti, viene sostenuto dalle stesse braccia nelle sue pericolose oscillazioni, quasi che il sacrificio di quelle povere donne fosse indispensabile per reggere un ideale ormai tramontato. Secondo questa concezione, anche la morte di Blanche, collocata su una croce come un alter Christus, non può essere letta come il sacrificio di una religiosa che si unisce a quello del suo Signore condividendone lo stesso strumento di morte e quindi facendosi simile a Lui nell’offerta della vita per la salvezza universale; ma, piuttosto, come l’ultima illusione di chi vuole credere nell’incredibile, perché il martirio, come afferma la regista, è “una decisione delirante”. Anche le scene che dovrebbero essere più serene, come la terza del primo Atto, nella quale si assiste a momenti della vita quotidiana nel Carmelo, non sono esenti da questo sguardo sospettoso, anzi negativo sulla scelta religiosa, sia per il contrasto fra la vitalità naturale delle suore e la gabbia di pregiudizi che impedisce di esprimerla, sia perché questa vitalità si manifesta attraverso movimenti meccanici e non spontanei come quelli delle suore stiratrici. Ma se la vita monastica nega la libertà, questa non è garantita neppure dal nuovo ordine imposto con la violenza dalla rivoluzione. La grottesca fuga dal Carmelo delle suore in bicicletta dopo che sono state costrette a rinunciare alla vita religiosa e non prima di essersi segnate ripetutamente come se stessero peccando contro la loro volontà, è una finta liberazione, sia perché imposta con la forza, sia perché troverà la sua atroce conclusione sulla ghigliottina. Lo spettacolo, comunque lo si voglia valutare nei contenuti, è comunque di alto livello sul piano teatrale, curatissimo in ogni dettaglio, attentamente studiato in modo da non lasciare nulla al caso. Tutto ciò è evidente nella intelligenza, oltre che nella diligenza, con cui ogni momento dell’impegnativa opera è valorizzato ai fini della rappresentazione, nella caratterizzazione dei personaggi come nei movimenti di coristi, ballerini e mimi, il cui apporto teatrale è determinante per la riuscita della messinscena. Assolutamente funzionali all’idea registica anche la semplice scenografia, l’efficacissimo disegno luci, i costumi evocativi con buon gusto fra rispetto della collocazione storica della vicenda e atemporalità, i pertinenti movimenti coreografici. Insomma, una grande prova di professionalità e di intelligenza teatrale, della quale bisogna dare atto alla regista e al suo staff. Sul piano musicale, il fascino dei ”Dialogues des Carmélites” emerge da una varietà di suggestioni, di motivi ispiratori, di colori orchestrali, che sorprendono e suscitano ammirazione, anche perché in perfetta armonia con la drammaticità della. Così il rapido trascorrere dai tocchi impressionistici timbricamente raffinati alla Debussy a un declamato aspro e fortemente impattante alla Musorgskij accompagna i fatti raccontati con una pertinenza straordinaria, al punto da fare di quest’opera uno dei capisaldi del novecento musicale. Il maestro Frédéric Chaslin, grazie anche all’apporto dell’orchestra della Fenice che si segnala per omogeneità e compattezza di suono al pari del coro istruito da Alfonso Caiani, imposta nel complesso una lettura vivida e dinamica, ricca di vigore e di forza teatrale, anche se i momenti più lirici non sono per ciò trascurati. Questa interpretazione, più vitale che contemplativa, avvolge e trascina nella sua carica drammatica il pubblico e porta i cantanti, anche per non essere soverchiati dal volume sonoro proveniente dalla buca, ad insistere su dinamiche intense, con un canto di forte impatto sul piano emotivo. Ne scapita la vocalità fresca, sana, ma non imponente della Blanche di Julie Cherrier-Hoffmann, mentre reggono bene l’impatto la Mére Marie de l’Incarnation di Deniz Uzun e la Soeur Constance di Veronica Marini, dalle voci rigogliose e ben proiettate, anche se i momenti di canto sfogato sfociano in acuti fissi e gridati tutt’altro che gradevoli. Senza pecche, invece, Le Chevalier di Juan Francisco Gatell, che declama con forza ed incisività senza perdere mai il controllo dello strumento e della linea vocale. Felicissima anche la performance di un’artista sopraffina quale Anna Caterina Antonacci, che, come Prieure du Carmel, muore con struggente intensità ma senza mai perdere il senso della misura sia nella presenza scenica sia nella resa vocale, caratterizzata da un timbro pieno, rotondo, sonoro, oltre che dalla nota espressività del fraseggio. A posto nei ruoli rispettivi anche Vanessa Goikoetxea, una nouvelle Prieure vocalmente presente ed efficace, e Armando Noguera, un Marquis de la Force appropriato in ogni suo intervento. Vanno menzionati anche tutti gli altri protagonisti o coprotagonisti dello spettacolo: l’Aumônier du Carmel, puntuale ed appropriato ma un po’ sovrastato dai decibel orchestrali, di Jean-Franҫois Novelli; il I Commissaire di Marcello Nardis, come sempre padrone della parte; Francesco Paolo Vultaggio, vocalmente di impatto nei quattro ruoli affidatigli; e ancora, del tutto all’altezza, la Mère Jeanne di Valeria Girardello, la Soeur Mathilde di Loriana Castellano, l’Officier di Gianfranco Montresor. Successo pieno, caldo e alla fine assolutamente meritato per tutti, considerata anche la non trascurabile difficoltà dell’impegno, alla fine della rappresentazione di martedì 24 giugno. Adolfo Andrighetti

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E’ iniziata col botto la partecipazione della rappresentativa del C.U.S. Venezia ai Campionati Nazionali Universitari in corso di svolgimento in Molise e cui partecipano circa 2000 studenti: Nicolae Bologa (tesserato per il Dojo Sacile) ha vinto il titolo nel judo (categoria fino a kg. 90), sconfiggendo in finale Tommaso Fava del C.U.S. Camerino; il neo tricolore aveva in precedenza superato judoka universitari di Pisa e Napoli. Dal judo è arrivata anche la medaglia di bronzo di Mattia Tomaselli (Judo Tamai) nella categoria fino a kg.73; in semifinale si è dovuto arrendere a Vincenzo Petruccione Junior del C.U.S. Napoli, poi medaglia d’argento. Un secondo posto è invece arrivato dall’atletica leggera, dove Tommaso Forner (Assindustria Sport Padova) ha conquistato la medaglia d’argento sui 3000 siepi, dietro a Roberto Boni del C.U.S. Modena - Reggio Emilia; terzo è arrivato Davide Rapallo del C.U.S. Torino. Ora (lunedi) inizia l’avventura del C.U.S. Venezia nel torneo finale di pallavolo femminile, mentre mercoledì sarà la volta della scherma.

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