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ALLA FENICE “IL MATRIMONIO SEGRETO”, NOSTALGIA DI SERENITÀ

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È stato l’IIS Algarotti ad aggiudicarsi la 20°edizione del trofeo Ondina Scholz di pallavolo mista, organizzato dal C.U.S. (Centro Sportivo Universitario) Venezia ed intitolato alla memoria di una donna, già giocatrice ed allenatrice cussina, che tanto si dedicò ai giovani. Le finali del torneo, riservato agli Istituti d’Istruzione Superiore veneziani e cui hanno partecipato le rappresentative di 7 scuole, si sono disputate al palasport Gianquinto all’Arsenale ed hanno visto l’Algarotti imporsi per 2-0 sul Liceo Classico e Musicale Marco Polo dopo aver superato in semifinale, con identico punteggio, il Polo Tecnico Professionale Vendramin Corner sconfitto anche dal Liceo Scientifico Benedetti nella finalina per il terzo posto sempre per 2-0. MVP (migliori in campo) sono stati indicati Alice MiyaKe (Liceo Marco Polo) e Samuele Cavagnis (Istituto Algarotti); il trofeo Ondine Scholz è ricompreso fra le iniziative proposte dal C.U.S. Venezia nell’ambito del Progetto Sport e Identità, promosso da FederCusi e “Sport e Salute” per supportare iniziative rivolte alle scuole secondarie con particolare attenzione allo sport come fattore di identità territoriale. «Siamo molto contenti di organizzare questa manifestazione, che arricchisce il nostro tradizionale impegno a servizio dello sport scolastico, con cui intendiamo sviluppare ulteriori progetti – commenta Massimo Zanotto, Presidente del C.U.S. Venezia - A gratificare lo sforzo organizzativo c’è stata una buona risposta da parte delle scuole ed anche una nutrita rappresentanza di insegnanti sugli spalti».
Torna alla Fenice “Orfeo ed Euridice” di Gluck e si riproduce l’atmosfera incantata e superna che promana da questo capolavoro, nel quale trova una realizzazione perfettamente compiuta sul piano artistico la riforma del melodramma voluta dal compositore insieme al suo librettista Ranieri de’ Calzabigi e diretta a proporre una drammaturgia musicale più vera, più essenziale, più corrispondente alla parola, rispetto all’esibizionismo esornativo e virtuosistico caratterizzante il gusto barocco. Alla Fenice è stata messa in scena la prima versione dell’opera, quella originale, rappresentata al teatro di corte di Vienna nel 1762 per l’onomastico dell’imperatore Francesco I. E, come si accennava, la magia di quest’opera, baciata dalla bellezza perfetta e purissima delle Muse, si è ricreata intangibile dopo due secoli e mezzo. Ciò si deve ad uno spettacolo pienamente riuscito ed appagante sotto ogni angolo visuale. Si potrebbe osservare che il risultato ottimale dell’insieme fosse prevedibile se non scontato, in considerazione del livello dei responsabili della parte musicale e di quella visiva, rispettivamente Ottavio Dantone come direttore e maestro al cembalo, e Pier Luigi Pizzi, artefice di regia, scene e costumi. Ma non è così, perché nel teatro in musica, dove componenti numerose ed eterogenee sono chiamate ad interagire fra loro, la riuscita complessiva di ciò che si offre al pubblico è legata ad alchimie raffinate la cui positiva combinazione non sempre avviene, o almeno non sempre come era lecito aspettarsi. È da accogliere dunque con pieno gradimento l’”Orfeo ed Euridice” proposto alla Fenice e così l’ha salutato il pubblico alla serale del 4 maggio, esprimendo la soddisfazione appagata di chi ha potuto assistere ad un progetto artistico riuscito sotto ogni aspetto e abbracciando almeno virtualmente, con un entusiasmo caloroso e commosso, il glorioso Pier Luigi Pizzi, apparso sul palcoscenico insieme agli altri artefici dello spettacolo. Ottavio Dantone ci regala, con la positiva collaborazione di un ensemble di ridotte dimensioni tratto dall’Orchestra del Teatro, una lettura vivida e sensibilissima della partitura, della quale nulla è smarrito strada facendo o trascurato, mentre viene restituita in tutta la sua malia fatta di tinte ora malinconiche ora corrusche, ora estatiche ora passionali, e soprattutto di una bellezza ineffabile che possiede le armoniose proporzioni dell’ideale classico. Ha ragione Pizzi, ancora una volta, quando, riferendosi a Dantone, afferma che definirlo specialista della musica antica è riduttivo, perché questa classificazione “fa pensare in qualche modo a un virtuosismo raggelato, e non è questo il caso. Ottavio è un artista vero, dotato di una grande sensibilità, capace di emozionare”. Ottimo anche il cast dei solisti, nel quale si fa apprezzare in modo particolare l’Orfeo del mezzosoprano Cecilia Molinari, per la perfetta corrispondenza del suo canto all’atmosfera ed allo stile tanto della partitura quanto della messinscena, entrambi improntati ad un neoclassicismo nobile, elegante ma tuttavia vibrante di passione. L’artista si impone non tanto per le qualità naturali dello strumento, anche se del tutto adeguato al repertorio, quanto per la dizione perfetta, l’emissione pulita, l’inappuntabile intonazione, soprattutto una ammirevole varietà di accenti e di tinte che permette di esprimere con grande comunicativa l’intera gamma dei sentimenti che vive Orfeo. La sua Euridice è il soprano Mary Bevan, dalla adeguata presenza scenica e dal canto intensamente lirico, in grado di esprimere con la giusta carica drammatica, pur senza mai smarrire l’aplomb richiesto dal contesto culturale cui l’opera appartiene, la passione di una donna innamorata fra l’acre delusione e la felicità del pieno appagamento. Brava come sempre Silvia Frigato, artista ben nota al pubblico veneziano, che è un Amore dalla vocalità fresca e scintillante, come si addice al dio che incarna la gioia e la restituisce per due volte, l’ultima definitivamente, ai due amanti del mito. Di grande rilievo nell’opera di Gluck è il ruolo del coro, tant’è vero che la regia lo vuole sempre sul proscenio, a commentare lo svolgersi dell’azione con la compostezza e la ieraticità della tragedia greca. Si fa apprezzare soprattutto la componente femminile, ma in particolare nell’apoteosi finale qualche disomogeneità si è sentita. Al maestro Alfonso Caiani il compito di sistemare ciò che ancora sembra non funzionare proprio a puntino. Pier Luigi Pizzi, di cui non dirò l’età perché l’illustre regista non ha bisogno di alcun tipo di affettuosa condiscendenza dovuta agli anni fino ad ora vissuti, continua con questo spettacolo quel percorso di sottrazione del superfluo e di ricerca dell’essenziale che egli stesso dichiara di aver intrapreso da un po’ di tempo. Nulla quindi si vede di esornativo, ma solo un’eleganza scabra, asciutta, che evoca e allude con una drammaticità che non perde di vigore ma sia fa anzi più incisiva, più impressionante, in forza della sobria linearità con cui è realizzata. Anche l’eliminazione di fatto dei balli corrisponde a questa concezione severa dello spettacolo, nel quale si vuole che il protagonista dell’azione drammatica sia la musica. In totale sintonia con questa impostazione sono i costumi, neri tranne quello di Euridice, mentre il coro è vestito con tuniche grigio scuro. Il primo atto si apre su di una nuda scena cimiteriale con alcune pietre tombali nere, mentre dei cipressi ed un albero scheletrito si stagliano sullo sfondo di un cielo ingombro di nubi tempestose. L’effetto è di un sapore preromantico, rafforzato anche dalla presenza di due figuranti che restano immobili appoggiati ad una tomba, a ricordare la postura, tragica ed enfatica insieme, di certi monumenti funebri che si vedono spesso nei camposanti. La sena degli inferi è caratterizzata da uno spettacolare incendio perenne che arde dietro una parete nera alta fino al soffitto, a simboleggiare, con la collaborazione di alcuni mimi, l’impossibilità metafisica più che materiale di varcare quelle soglie oscure. I Campi Elisi sono resi soprattutto attraverso una luce candida, quasi abbagliante (“Che puro ciel! Che chiaro sol!”), mentre sullo sfondo si apre un mare placido e trasparente dai tenui riflessi azzurrini. Il drammatico incontro tra Orfeo ed Euridice si svolge davanti ad una sorta di tunnel che si apre con un andamento a spirale verso il fondo illuminato, a rappresentare l’ardua prova che i due amanti devono affrontare prima di potersi riabbracciare. Ma, nel finale, ecco la sorpresa. Il giubilo generale che accompagna il ritrovarsi definitivo di Orfeo ed Euridice si esprime davanti alla raffigurazione della facciata esterna del Teatro La Fenice; perché, spiega Pizzi, in Euridice io vedo la Musica e come rappresentare il ritrovamento da parte di Orfeo del suo ideale e della sua ragione di vita, cioè appunto Euridice-Musica, se non mettendo in scena un teatro? Ma non un teatro qualsiasi, aggiunge Pizzi, bensì il “nostro Teatro”. Grazie, maestro, anche per questo atto di amore verso, appunto, il “nostro Teatro”. Adolfo Andrighetti
Ha saputo resistere ad anni di rigido regime anti Covid, mantenendo business e struttura operativa: si tratta di Allforclean, azienda con stabilimento in Cina, ma di proprietà dell’italiana “Idrobase Group”, il cui Co-presidente, Bruno Ferrarese, annuncia il rafforzamento su uno dei più importanti mercati mondiali: «Abbiamo dimostrato un’efficiente capacità operativa in una fase drammatica per l’economia del grande Paese orientale, allorché la gran parte delle piccole aziende occidentali hanno chiuso i battenti o sono state svendute ad imprenditori locali. È un posizionamento strategico, che ora vogliamo consolidare in termini di fatturato». È infatti finalmente in rampa di partenza anche Daerg China, nata nel 2021 dalla sinergia fra la veneta “Idrobase Group” e l’emiliana “Daerg Chimica”, ma poi rallentata dalla pandemia; l’iniziativa imprenditoriale italiana vuole offrire una soluzione combinata fra detergenza e “hardware” meccanico, finalizzata al mercato cinese dell’autolavaggio, che ogni anno si arricchisce di 21 milioni di veicoli; il progetto imprenditoriale prevede un’autonoma linea produttiva di detergenti per il lavaggio ecologico dell’auto, ubicata nello stabilimento Allforclean, a Ningbo. «Frequentiamo imprenditorialmente da 20 anni la Cina, che rappresenta un importante tassello nella nostra strategia di mercato e dove il Made in Italy è grandemente apprezzato; per questo siamo impegniti a promuovere innovative sinergie tricolori» precisa il Co-Presidente di Idrobase Group, già vincitrice di due “China Awards”, attribuiti dalla Fondazione Italia-Cina. “Allforclean-Idrobase China”, nata nel 2004, produce soluzioni per il settore del “cleaning” e del “car washing”, quali idropulitrici con i relativi accessori e componenti; ricerca, ingegnerizzazione e commercializzazione delle produzioni sono italiani, così come il management. La produzione è destinata per il 50% all’estero, soprattutto statunitense, mentre l’altra metà è assorbita da prodotti specifici per il mercato interno. “Allforclean”, che conta una cinquantina di dipendenti, funge anche da base logistica per la penetrazione orientale dei prodotti della casa-madre padovana. La crescita di Idrobase Group sui mercati mondiali è testimoniata dallo straordinario impegno fieristico, in calendario in questo inizio di maggio, quando sono ben tre le esposizioni, che vedono presente il marchio dell’azienda di Borgoricco autonomamente o all’interno di una rete d’impresa: si inizia con il “Car Wash Show” a Las Vegas, negli Stati Uniti, dedicato al mondo dell’autolavaggio e si prosegue con “Issa Pulire” a Milano per le tecnologie del “cleaning”; i prodotti dell’azienda italiana saranno inoltre protagonisti nei padiglioni di HVAC Korea a Seoul, il cui focus sono le soluzioni per il comfort ambientale e gli impianti idraulici.
Sarebbe semplicistico affermare che “Ernani” consiste solo della musica di Verdi: una musica incalzante, trascinante, a tratti travolgente, baciata dalla grazia di una vena melodica sovrabbondante per energia e creatività; perché questa musica è stata pensata e scritta dal suo autore, musicista dall’infallibile intuito teatrale, come un vestito confezionato su misura per il dramma di Victor Hugo adattato da Francesco Maria Piave. Verdi, si sa, componeva per il teatro ed ogni sua nota era studiata per dare vita al personaggio, alla situazione, alla singola parola. Per questo è essenziale cogliere i nuclei drammatici di questa tragedia, “Ernani”, che può apparire irrimediabilmente estranea alla sensibilità moderna, con quei logori e vieti punti d’onore che l’etichetta della nobiltà spagnolesca anteponeva ad ogni altro valore umano; e che trovano la loro assurda apoteosi nella conclusione dell’opera, quando l’eroe si suicida mentre sta entrando nel talamo nuziale per tenere fede ad un ridicolo giuramento pronunciato in precedenza. Quindi, dove cercare l’anima drammatica di questo vuoto armamentario fatto di senso dell’onore, rigide gerarchie nobiliari, e il blasone, e l’onta ecc. ecc.? Prima di tutto, in quel connubio fra sentimenti privati e conflitti politici qui solo abbozzato ma che porterà, una volta approfondito, agli esiti nobilissimi del “Simon Boccanegra” e del “Don Carlos”. E poi nell’amore senile, così egoista e insieme così umano, così patetico, di Silva nei confronti di Elvira. Egoista, certo, ma anche meritevole di comprensione, perché un vecchio, come scrive Hugo mirabilmente ripreso nell’aria “Infelice e tu credevi”, può anche trovarsi a vivere la faticosa e inconciliabile contraddizione di un cuore giovane, capace di emozionarsi ed intenerirsi, custodito dentro un corpo in decadimento. E soprattutto diamo un’occhiata al protagonista, non solo tipico eroe romantico proscritto, perseguitato ed infelice, deciso a combattere fino alla fine contro la sorte avversa in nome della libertà personale e dell’amore; ma anche contraddistinto, meno convenzionalmente, dalla difficoltà a conciliare nel proprio io due personalità distinte, quella del fuorilegge e quella del nobiluomo. Il “bandito Ernani”, infatti, dovrebbe irridere, nel nome della sua scelta di vita romanticamente ribelle, il giuramento che Silva gli impone di osservare richiamandosi all’autorità del codice d’onore spagnolo. Per contro, ritornato don Giovanni d’Aragona in seguito all’indulto generale concesso a tutti i congiurati da re Carlo divenuto imperatore, gli spetterebbe il lieto fine; invece muore alla Ernani, cioè con un suicidio di sapore romantico, pur in osservanza di quel decrepito codice d’onore che solo a don Giovanni poteva importare. Quasi una doppia identità, insomma, da cui deriva un dramma interiore che rimanda ad un altro, umanamente ed artisticamente ben più intenso: quello vissuto da un altro personaggio di Hugo e Verdi dalla personalità dimidiata: Rigoletto. E di un tentativo di interpretazione psicologica di “Ernani” e soprattutto del suo protagonista si può parlare a proposito del nuovo allestimento presentato dalla Fenice in coproduzione con Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia (regia di Andrea Bernard, scene di Alberto Beltrame, costumi di Elena Beccaro, disegno luci di Marco Alba). Lo dimostra soprattutto il bel filmato iniziale in bianco e nero, che, durante l’ouverture, ci presenta un Ernani ragazzino attonito e rabbioso di fronte alla distruzione del castello di famiglia ed al seppellimento delle spoglie paterne. È chiaro che Ernani vivrà tutte le vicende successive raccontate nel corso dell’opera - a cominciare dall’amore per Elvira e dal desiderio di vendetta nei confronti del re - attraverso la lente deformante di quella terribile esperienza infantile, che tornerà a visitarlo in alcuni momenti topici sotto le apparenze di un guerriero medioevale coperto di ferro e dalle grandi ali bianche: è l’immagine del padre, col quale si ricongiungerà al momento della morte. Si intona a questa visione dell’opera l’impianto scenico, che presenta delle strutture architettoniche d’epoca in forma fortemente stilizzata secondo un modo che si potrebbe definire futurista oppure propone un palcoscenico nudo e buio. La pur apprezzabile intuizione registica di partenza non trova, però, uno sviluppo adeguato, dal momento che lo spettacolo tende a svolgersi in palcoscenico secondo modalità prevedibili e tutto sommato convenzionali, per cui, per esempio, questo Ernani si muove come qualunque altro Ernani della tradizione, senza che il suo trauma infantile abbia modo di manifestarsi in maniera visibile. Corrispondono ad una concezione tradizionale anche i funzionali costumi d’epoca: belli in particolare quelli di Silva, francamente brutti quelli vestiti dal coro durante la festa nuziale dell’ultimo atto così come le coreografie, del tutto estranee al contesto. Ma il problema vero è che lo spettacolo rappresentato alla Fenice, nel suo insieme di scena, musica e canto, sembra accusare un clima generale di scarsa attenzione nei confronti del contesto poetico e culturale rappresentato da “Ernani”, ove gli ideali assoluti e sublimi del romanticismo vengono declinati in chiave araldica, mentre sul palcoscenico sono talvolta proposti con un’ insufficiente sensibilità culturale e stilistica, che porta - non sempre ma più di qualche volta – ad esiti che appaiono fuori gusto. Così il maestro Riccardo Frizza conduce spesso l’orchestra verso un eccesso di platealità, abbandonandosi a sonorità fin troppo intense ed enfatizzando il versante risorgimentale, barricadiero dell’opera, a discapito di quello blasonato e dei momenti più lirici. Altrettanto si deve dire del coro diretto dal maestro Alfonso Caiani, che esegue bene “Si ridesti il Leon di Castiglia” mostrando compattezza ed un impatto sonoro adeguato, ma in altri momenti dà l’impressione di esprimersi in maniera un po’ brada e vociante. La regia, poi, spesso spinge i solisti ad atteggiamenti che non si confanno al loro rango: Elvira gesticola troppo e, complici anche la bella chioma nera, l’appariscente abito scarlatto e una spontanea sovrabbondanza di sensualità, fa venire in mente Carmen, senza contare che non appartiene al personaggio sguainare un pugnale in faccia al re; un gesto accettabile come frutto della disperazione solo nel finale nei confronti di Silva. E anche il re talvolta si dimentica di essere tale, mostrando un incedere non sempre elegante e consono al rango, mettendo le mani addosso ad un bandito, cioè Ernani, e sbattendo le sedie per terra. Anche il canto si dimostra in alcuni casi stilisticamente poco a fuoco. Il Don Carlo del baritono Ernesto Petti ha volume, timbro adeguato, omogeneità di suono, ma se queste doti lo sostengono nella declamazione, non sono sufficienti a rendere con attendibilità l’involo melodico dei pezzi lirici, ove si richiederebbero un’emissione più morbida e carezzevole, una modulazione più sciolta e spontanea. In generale, va tenuto presente che il re è giovanissimo, quindi è bene si presenti impetuoso, irruento, ma rimane sempre il re: la Spagna del XVI secolo non è il luogo adatto per confondere e superare le gerarchie. L’Elvira del soprano Anastasia Bartoli, poi, possiede uno strumento dovizioso soprattutto nella zona medio-acuta e di bel colore, ma di non facile gestione o almeno di gestione non ancora pienamente risolta. L’emissione sembra alla ricerca di una sua scioltezza e fluidità, con la conseguenza che il canto indugia sempre attorno al forte e le variazioni dinamiche scarseggiano. Altro ragionamento si deve fare per l’Ernani del tenore Piero Pretti, che porge e fraseggia con un’eleganza che ben si confà al personaggio, ma che talvolta sembra arrampicarsi su una parte troppo onerosa, che spinge a forzare – ed è un peccato - uno strumento prezioso per la fragranza tenorile del timbro e dell’involo. E un altro ragionamento ancora vale per il superbo Silva del basso Michele Pertusi, dal quale tutti dovrebbero andare a scuola di canto e di portamento per la presenza nobile ed austera e per l’emissione sempre morbida, rotonda, mai forzata, in grado di assecondare senza sforzo apparente le intenzioni dell’interprete. Solo due esempi: Un “Infelice! ...e tu credevi” da manuale non solo per la pienezza pastosa del suono ma anche per il raccolto eppure intenso senso di commozione; i “Morrà” pronunciati nel finale, appena appoggiati, eppure pieni e sonori fino all’ultima fila della platea. Sì, quando il suono è ben impostato, ci si può far sentire senza gridare. “Ernani” comunque è opera strappa applausi e tale si è confermata alla Fenice la sera di mercoledì 22 marzo, in una sala piacevolmente e festosamente gremita. Adolfo Andrighetti
L’inquinamento si combatte anche con interventi basici, capaci di rispondere ad esigenze di mercato finora disattese: una novità nel campo del “washing” arriva ora dall’Italia. Si chiama “Tempesta carrellato” ed è una soluzione innovativa nel campo del lavaggio di macchinari, tanto da essere candidato al prossimo premio “Prodotto dell’anno” al salone ISSA Pulire: a realizzarlo è la padovana Idrobase Group, leader nelle tecnologie d’uso per l’acqua in pressione. La più evidente novità è l’azione attraverso un dispositivo nebulizzatore con pompa pneumatica, quindi senza bisogno di allacciarsi all’energia elettrica, potendo così essere utilizzato in sicurezza in ambienti umidi e con facilità anche all’esterno. La seconda novità, sorprendente nella sua semplicità, è l’uso di detergente concentrato in monodosi da 50 grammi, sufficienti ciascuna a produrre 20 litri di soluzione lavante, riducendo l’uso e lo smaltimento di taniche in plastica, ma soprattutto predeterminando il più efficiente mix, eliminando i “piccoli chimici” del lavaggio con evidenti benefici per l’ambiente e la riduzione dell’inquinamento: basterà sciogliere la monodose in acqua, mescolando ed usando la pressione della pompa pneumatica. La terza novità di “Tempesta carrellato” è la struttura facilmente pieghevole, che permette di ridurre l’ingombro del 70% con vantaggi in termini di costi di trasporto e di magazzino. «La nostra ricerca – evidenzia Bruno Ferrarese, Co-Presidente di Idrobase Group – ci permette di posizionarci sui mercati mondiali con una soluzione eco-friendly, destinata soprattutto al lavaggio di automobili, autoarticolati, mezzi agricoli e di lavoro. Idrobase Group – conclude Ferrarese – è presente nel comparto del lavaggio auto anche attraverso la rete d’impresa Carwashitalia.net, di cui è promotrice per puntare all’affermazione del made in Italy in un settore dalle grandi potenzialità soprattutto in Cina e nei Paesi emergenti».
Si è conclusa l’edizione 2023 dei Campionati Nazionali Universitari invernali, che hanno avuto anche quest’anno la base operativa in Val di Zoldo. La manifestazione, inserita nel calendario ufficiale della F.I.S. (International Ski Federation), è stata organizzata da FederCUSI e C.U.S. Venezia dal 20 al 22 Marzo scorsi, grazie al supporto delle Università Ca’ Foscari e Iuav di Venezia, del comprensorio della Val di Zoldo e con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Belluno. Il Presidente di FederCUSI, Antonio Dima, saluta l’evento, dichiarando: «62° edizione dei Campionati Nazionali Universitari invernali: una soddisfazione ed un orgoglioper  questa edizione in particolare, essendo la prima targata FederCUSI sul piano nazionale. I C.N.U. invernali ed i Giochi Sportivi Universitari di Sci sono un bell'esempio di sviluppo integrato e sostenibile dello sport universitario a 360 gradi. Ringrazio il C.U.S. Venezia per l'impegno e l'organizzazione». «Grazie alla solida sinergia con il territorio della Val di Zoldo ed il supporto di FederCUSI, siamo riusciti anche quest’anno a proporre un evento di qualità, nonostante le difficoltà dovute alla temperatura, che ci ha obbligato a spostare le gare FIS sulla pista Civetta. A tal proposito tengo a ringraziare per la disponibilità e la collaborazione anche Alleghe Funivie - dichiara il Presidente del C.U.S. Venezia, Massimo Zanotto – È la quinta edizione, che organizziamo consecutivamente e siamo particolarmente felici del riscontro avuto a livello di iscrizioni con oltre 270 richieste per giornata di gara. Anche quest’anno si è registrato un successo per le iscrizioni di atleti stranieri: 104 atleti in rappresentanza di 25 Nazioni, di cui ben 9 da fuori Europa (Canada, USA, Cile, Australia, Nuova Zelanda, Cina, Hong Kong, Giappone e Iran). Un bel segnale in attesa della nuova sfida rappresentata dall’organizzazione della prima edizione dei Campionati Europei Universitari Invernali, che organizzeremo sotto l’egida dell’EUSA (European Universities Sport Association) dal 19 al 22 Dicembre sempre in Val di Zoldo». Il Sindaco del Comune di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin, ha così commentato l’evento: «I Campionati Nazionali Universitari invernali 2023 consolidano il sodalizio tra Val di Zoldo e mondo sportivo universitario, rafforzando la nostra convinzione a proseguire nel creare importanti sinergie negli anni futuri. Questo è anche confermato dal supporto, che stiamo dando in questi giorni all'European University Sport Association (EUSA), che organizza qui, insieme alla Federazione Internazionale FISU, il seminario annuale per le federazioni universitarie europee, in vista dell'ospitalità, in Val di Zoldo, della prima edizione degli European Universities Winter Championships di Dicembre 2023». Cancellato, purtroppo, lo slalom speciale di mercoledì a causa dell’ulteriore innalzamento delle temperature, le gare di slalom gigante sono state di ottimo livello e molto combattute. Nella gara di lunedì, Elena Lazzeri del C.U.S. Roma ha conquistato il titolo di Campionessa Italiana Universitaria ed anche il primo posto nella gara FIS, seguita dalla cilena Matilde SCHWENCKE. Nella gara maschile il titolo italiano è andato ad Alessio Gottardi del C.U.S. Ferrara, mentre la gara FIS ha visto l’affermazione di Jan Plunger del Seiser Alm Ski Team di Castelrotto (BZ). Martedì la competizione era valida solo per il ranking FIS. La gara femminile è stata vinta da Giorgia Felicetti dello Ski Team Cavalese. Nella prova maschile, al primo posto Simone Gallina dello Ski Team Alpe Cimbra, mentre è da sottolineare il terzo posto di Kevin Qerimi, prima medaglia di un atleta albanese in questi cinque anni. Successo anche per i Giochi Sportivi Universitari di sci, aperti a tutto il mondo universitario (studenti, personale universitario e dirigenti C.U.S.I.) e riproposti per il secondo anno. Spirito di gruppo e divertimento hanno caratterizzato le gare degli 80 partecipanti in rappresentanza di 8 C.U.S. . Il C.U.S. Genova ha vinto la classifica, seguito da Bologna e Venezia. L’evento, è stato supportato da Antenore Energia, main partner del C.U.S. Venezia e da StiorePack S.r.l., partner tecnico del C.U.S. Venezia. Giovedì è poi iniziato il seminario di EUSA e FISU, che vede la partecipazione di oltre 21 Federazioni Nazionali Universitarie da tutta Europa. Nelle tre giornate vengono presentati i futuri progetti sportivi, mondiali ed europei, nonchè analizzati gli eventi conclusi in anni recenti.
Dal 20 al 22 Marzo, per il quinto anno consecutivo, saranno la Val di Zoldo e l’organizzazione del C.U.S. Venezia ad ospitare i Campionati Nazionali Universitari (C.N.U.) invernali, in collaborazione con le Università Ca’ Foscari e Iuav nonchè con la locale Amministrazione Comunale e la Provincia di Belluno. Le gare valgono anche come punteggio F.I.S. e quindi vedranno la partecipazione di una settantina di atleti stranieri (in rappresentanza di 4 continenti), che si aggiungeranno ai circa 180 partecipanti italiani. La manifestazione, giunta alla 62° edizione, si articola in due slalom “giganti” (lunedì valido F.I.S. più titolo maschile e femminile C.N.U.; martedì valido solo F.I.S.) e in uno “speciale” (mercoledì, valido F.I.S. più titolo maschile e femminile C.N.U.). “Non possiamo che essere soddisfatti ed orgogliosi del nostro lavoro – commenta Massimo Zanotto, Presidente del C.U.S. Venezia – Il ritorno dei Campionati Nazionali Universitari Invernali ed ora l’assegnazione dei primi Campionati Europei sono un importante riconoscimento ad una capacità organizzativa, forte di una tradizione maturata negli anni e sviluppata in sinergia con il territorio.” Complici gli impegni di studio, a rappresentare il C.U.S. Venezia sarà quest’anno un solo atleta: Alvise Verardo. Le gare si svolgeranno al mattino mentre, nel pomeriggio di lunedi e martedì, andranno in scena i Giochi Sportivi Universitari, indirizzati a dipendenti, docenti, studenti non agonisti degli Atenei italiani. Partner dell’edizione 2023 dei Campionati Nazionali Universitari sono Antenore Energia, Società Impianti Val di Zoldo, Consorzio Turistico Val di Zoldo, Pro Dolomiti. Terminati i C.N.U. si terrà, fino a domenica 26 marzo sempre a Val di Zoldo, un seminario della E.U.S.A. (European University Sport Association), dedicato alla programmazione delle prossime attività internazionali; in tale occasione, sarà annunciata la prima edizione dei Campionati Europei Universitari Invernali: avranno luogo dal 18 al 22 Dicembre prossimi in Val di Zoldo per organizzazione del C.U.S. Venezia in collaborazione con FederCusi.
Più pericoloso del PM 10, che ammorba la Pianura Padana in assenza di piogge dilavatrici, il PM 2.5, prodotto in alcuni cicli industriali (acciaierie, cementifici, ecc.) e deleterio soprattutto per l’apparato respiratorio, ha ora un’innovativa soluzione di contrasto “Made in Italy”: l’idea è della padovana Idrobase Group che, dopo aver lanciato il primo cannone sparanebbia a 120 bar per abbattere le polveri sottili, anticipa i competitor mondiali e propone la formula del noleggio a manutenzione programmata, iniziando da mercati più evoluti quali Giappone e Korea. «Il nostro obbiettivo è garantire costi certi predeterminati, azzerando il rischio di rotture e conseguenti fermi macchina – indica Bruno Ferrarese, co-Presidente dell’azienda di Borgoricco, di ritorno da una missione nel Far East – A questa nuova sfida commerciale stiamo facendo conseguire un’opportuna ristrutturazione della rete distributiva». Novità interessante di questa strategia è la prossima nascita di Idrobase Japan, sulla base delle analoghe esperienze in Korea e Francia; obiettivo primo è la commercializzazione dei cannoni sparanebbia in un Paese ad accresciuta sensibilità ambientalista. Più ambizioso è il target per Idrobase Korea dove, grazie alla strategia dell’efficienza costante, si punta al raddoppio del fatturato, guardando soprattutto ai cantieri edili ed all’industria dell’acciaio. E’ la manutenzione programmata, infine, l’asset, con cui Idrobase Group punta anche a consolidarsi sul mercato statunitense, dove è stata individuata una rete di distributori con l‘obiettivo di aumentare un fatturato, che oggi rappresenta il 5% di quello aziendale. «Ci impegniamo – precisa Ferrarese – a fornire un pacchetto completo per offrire massima garanzia al mercato: dai pezzi di ricambio ad ausilii per garantire efficienza costante, fino alla formazione del personale. L’usura delle macchine deve essere anticipata dalla costante manutenzione che, forti della nostra esperienza, siamo in grado di assicurare, unici al mondo». La partita, infatti, è molto importante, non solo in termini di business, per chi fa del “Respira Aria Sana” la propria filosofia d’impresa: basti pensare che le micropolveri PM 2.5, possono raggiungere i bronchi e perfino gli alveoli, entrando nel ciclo sanguigno e nelle cellule, aumentando sensibilmente il rischio di cancro a polmoni, intestino, colon e seno. Con lo stesso obiettivo, Idrobase Group è convinta promotrice con la trevigiana MVT – Mion Ventoltermica e la novarese Sibilia di “Safebreath.net”, la prima rete d’impresa italiana per l’abbattimento delle polveri sottili; il network operativo prosegue ed il marchio sarà presente in prossimi appuntamenti fieristici. Nell’head quarter italiano di Idrobase Group, infine, proseguono i lavori di ristrutturazione, seguiti al grave incendio dello scorso Luglio e la cui inaugurazione è già prevista esattamente ad un anno di distanza: già ora, però, i magazzini verticali sono saliti a 4 (3 per la logistica ed 1 per la produzione) per supportare il programmato aumento di fatturato 2023, indicato in +20%.
Nonostante sia giunto fino a noi in una versione frammentaria e dei dubbi rimangano sulla precisa identità dell’autore, il romanzo “Satyricon”, risalente al primo secolo d.C., non ha mai cessato di esercitare un certo fascino anche in epoca contemporanea: sarà l’atmosfera gaiamente e spensieratamente libertina che lo contraddistingue, sarà anche il pungente intento satirico e lo spirito avventuroso, resta il fatto che l’opera di Petronio Arbitro è fra le più conosciute di quelle giunte fino a noi dalla classicità romana; basti ricordare, in proposito, l’omonimo film di Fellini (1969). Qui però interessa l’opera in un atto del compositore veneziano Bruno Maderna (1920-1973), rappresentata il 16 marzo 1973 al Festival d’Olanda di Scheveningen sotto la direzione dell’autore, che morì quello stesso anno. Per la stesura del libretto – redatto utilizzando quattro lingue e cioè inglese, francese, tedesco e latino – Maderna si ispirò all’unica parte del romanzo giunta a noi intatta e cioè il banchetto di Trimalcione: acuminata satira delle ridicole manie di grandezza nutrite dai nuovi ricchi, categoria che nella opulenta Roma del primo impero doveva essere ben rappresentata ma che costituisce un pittoresco genere umano di perenne attualità. Il libretto è appunto la rappresentazione caricaturale della boria, ridicola ma anche ingenua, del ricchissimo Trimalcione (Trimalchio), che durante un banchetto celebra sé stesso per essersi fatto come si dice dal nulla, contando solo sulla propria abilità e sulla propria spregiudicatezza. Emerge tutta la volgarità di questo tronfio e borioso arricchito, che si esalta pensando ai milioni accumulati ma che rimane fastidiosamente rozzo nel suo lamento sulla stitichezza inguaribile da cui è afflitto e anche brutale quando parla della moglie Fortunata, alla quale l’epiteto più gentile che rivolge è quello di sgualdrina. Tuttavia anche gli aspetti più irritanti di Trimalcione, a cominciare dalla sua grandeur grassa ed esibita, sembrano riscattati almeno in parte da una certa comicità autoironica, una risata ammiccante con cui il ricchissimo crapulone li sdrammatizza, rendendoli, se non accettabili, almeno perdonabili. In quel corpaccione gonfio di cibo e di vino, poi, magari batte un cuore a suo modo generoso, dal momento che, forse ricordando di essere stato un liberto, promette di affrancare i propri schiavi e, quando sarà il momento, di concedere loro un lascito testamentario, riconoscendo che la loro umanità non è diversa da quella delle altre persone. Insomma, c’è da chiedersi se sia corretto avere una concezione così negativa del Trimalcione di Maderna o se invece, sotto la scorza del rozzo arricchito che si concede il privilegio di essere sé stesso senza ipocrisie, non si nasconda un’umanità più vera rispetto a quella di chi gli sta attorno. L’operina di Maderna, in un atto, è un divertissement in cui il compositore sembra divagarsi variando di continuo stili e modi, alternando recitato, recitativo, declamato, arioso, e impreziosendo la partitura di ammiccanti citazioni. I diversi pezzi, quasi dei numeri chiusi, di cui si compone l’opera, sono collegati da cinque sezioni su nastro magnetico, nelle quali è registrata una sorta di miscellanea sonora composta da suoni musicali, voci umane, persino versi di animali, a creare l’immagine di una realtà musicale – e quindi di una realtà tout court – confusa e indefinita; quella di Trimalcione come quella di oggi, naturalmente. “Satyricon” viene riproposto alla Fenice in occasione del cinquantesimo anniversario della prima rappresentazione e della morte del compositore veneziano, dopo essere comparso al Teatro Goldoni nel 1998. La concertazione e direzione sono affidate al maestro Alessandro Cappelletto a capo dell’Orchestra della Fenice, mentre la regia è di Francesco Bortolozzo, con i collaboratori Andrea Fiduccia (scene), Marta Del Fabbro (costumi), Fabio Barettin (disegno luci), Giovanni Sparano (regia del suono). Lo spettacolo è concepito come una proiezione surreale, in un presente senza tempo, dell’antica vicenda narrata da Petronio Arbitro. L’impressione di una dimensione onirica, sospesa fra sogno ed incubo, è data dal palcoscenico quasi nudo, solo dei pannelli grigiastri a delimitarlo ai lati e ben pochi elementi di arredo, soprattutto il tavolo della cena proverbiale a chiudere orizzontalmente lo spazio in fondo; dai costumi, le cui fogge moderne e i colori sgargianti ben si intonano con le luci, che cambiano continuamente colore ed intensità pur rimanendo prevalentemente chiare, crude, quasi violente. In questo contesto così sovraesposto si muovono i solisti, i cui atteggiamenti sono accuratamente studiati dalla regia; e cinque bravi mimi, che conferiscono dinamismo e vivacità ad un palcoscenico altrimenti statico a causa di un libretto che non ha consistenza drammaturgica ma consta di tanti pezzi staccati giustapposti fra loro e, come prevedeva lo stesso Maderna, ricomponibili secondo un ordine affidato alla fantasia degli esecutori. Ricordiamoli subito questi cinque ragazzi, così ben preparati e affiatati: Estella Dvorak, Emanuele Frutti, Roberta Piazza, Giulio Venturini, Aaron Weber. Il palcoscenico è dominato dall’eccellente Trimalcione del tenore Marcello Nardis, di rosa vestito ad enfatizzare, se mai ce ne fosse bisogno, la sua presenza imponente. L’artista dà il meglio di sé nella realizzazione scenica del personaggio ed è dotato di voce perentoria e squillante anche nelle improvvise ascese all’acuto. Sorprende, invece, che il suo personaggio non possieda quelle caratteristiche di sfrontatezza, di sbruffoneria, che dovrebbero essergli coessenziali e si presenti invece frastornato, incerto, timido, a dare l’impressione di un’umanità precaria anche sotto il profilo mentale. Resta il fatto che questo smarrito Trimalchio, che sembra piombato lì quasi per caso a differenza dei suoi commensali in apparenza più strutturati, ad un certo punto si mette ad effondere sangue e a consegnare l’Eucaristia ai presenti, come una sorta di alter Christus. Sfugge il senso di questa trasfigurazione, che appare arbitraria nel contesto dello spettacolo e alla quale non si riesce a dare altro significato se non quello di una gratuita provocazione, di quelle oggi tanto di moda. Molto centrato l’Habinnas del tenore inglese Christopher Lemmings, cui è affidato il boccaccesco racconto della matrona di Efeso e che dimostra pieno controllo sia del palcoscenico sia dello stile vocale richiesto da questo repertorio. Altrettanto si deve dire della Fortunata del mezzosoprano Manuela Custer, che va apprezzata non solo per la gloriosa carriera già percorsa ma anche per il valore delle sue attuali performance artistiche. Ben centrato anche l’Eumolpus del basso Francesco Molinari e a posto anche il Niceros del bravo baritono William Corrò e la Criside del mezzosoprano Francesca Gerbasi. A tutti, solisti ed orchestra, ha dato il suo prezioso supporto dal podio il maestro Alessandro Cappelletto, tenendo in mano con precisione le fila della non facile partitura. La pomeridiana di sabato 28 gennaio ha fatto registrare un caldo, cordiale successo da parte del numeroso pubblico presente. Adolfo Andrighetti
“Respira Aria Sana a 360°”, obiettivo strategico della padovana Idrobase Group, si arricchisce di una novità di rilevanza mondiale: è stato, infatti, realizzato il primo cannone “sparanebbia” a 120 bar, capace di eiettare miliardi di microgocce leggermente più grandi delle particelle inquinanti di PM 2.5, garantendone così il completo abbattimento. L’esposizione alle polveri sottili è un’acclarata causa di cancro ai polmoni, al colon ed all’intestino; le aree e le città industriali sono quelle a maggior rischio (solo in Europa si stimano oltre 400.000 morti all’anno), soprattutto nei Paesi in rapida crescita economica. Il nuovo prodotto della linea “Elefante”, leader di settore (migliaia di precedenti modelli sono presenti da anni soprattutto sul mercato cinese), è accompagnato, nel catalogo 2023 della “multinazionale tascabile”, da un’altra, importante novità “Made in Italy” per la salubrità degli ambienti: l’apparecchio BKM destinato ad eliminare virus, tra cui il Covid e di cui viene presentata la versione 3.0, frutto della ricerca con l’Università di Padova e destinata a mantenere salubri ambienti ampi (fino a 200 metri quadri). Si tratta di un purificatore d’aria per ambienti indoor, che sfrutta la tecnologia UV-C per abbattere direttamente patogeni aerodispersi; attiva inoltre un foto-catalizzatore, a base di nano-particelle di titanio, che riduce la concentrazione dei composti organici volatili (VOC) nell’aria. Lo sviluppo del dispositivo è durato 10 mesi e si è basato sulle sperimentazioni eseguite su n-decano, toluene, formaldeide, tricloroetilene, acetone, per quanto riguarda i VOC; su escherichia coli, per quanto riguarda i patogeni. A questo proposito, si è considerata la scala di resistenza indicata dalla Food and Drugs Administration (FDA), che individua la categoria dei batteri tra le più resistenti alle operazioni di disinfezione tra i microorganismi, anche rispetto ai virus a barriera lipidica come i Coronavirus. «Per Idrobase Group, il 2023 sarà un ulteriore anno di sfide sui mercati globali - afferma il Co-presidente del gruppo di Borgoricco, Bruno Ferrarese, che indica una potenzialità di crescita del 20% nel fatturato, chiusosi positivamente anche nel 2022, nonostante l’incendio, che a luglio distrusse uno dei magazzini, il cui nuovo capannone sarà significativamente inaugurato ad un anno di distanza assieme a rinnovati uffici aziendali - Sarà un anno indirizzato ad una crescente internazionalizzazione del nostro business; per questo, a fine mese, saremo impegnati in una missione commerciale, che toccherà Stati Uniti e Giappone, mentre in Korea e Vietnam stringeremo nuovi accordi per migliorare la nostra presenza sui mercati del Far East».

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“Il matrimonio segreto”, composto da Domenico Cimarosa su libretto del poeta di Martellago Giovanni Bertati, fu rappresentato a Vienna, auspice e mecenate l’imperatore Leopoldo II, il 7 febbraio 1792 ed ottenne un clamoroso successo. Correvano tempi difficili. La rivoluzione francese, deflagrata nel 1789, si preparava a dare il peggio di sé e il re di Francia Luigi XVI sarebbe stato decapitato l’anno successivo. In un contesto così turbolento, la rappresentazione di un’opera come “Il matrimonio segreto”, mirabile per la serena allegria che sprigiona all’interno di una cornice formale di perfetto equilibrio, poteva servire ad illudere che un certo tipo di mondo, fondato sulla stabilità di valori certi e consolidati, rimanesse in piedi nonostante la crisi. Per ragioni simili a quelle che avevano incantato la corte di Vienna, anche oggi questo lavoro non rappresenta soltanto un gradevole recupero museale, ma possiede qualcosa di significativo da comunicare al nostro presente lacerato, disorientato, sradicato, al quale contrappone, con il garbo ed il sorriso, un equilibrio ordinato ed armonioso, l’eleganza e la purezza della creazione artistica, la codificazione entro precisi limiti formali della serenità e dell’allegria attraverso soprattutto lo sgorgare felicissimo, gioioso, sorgivo della melodia. La ricerca della bellezza e dell’armonia non è mai banale, in quanto corrisponde ad una strutturale necessità dell’uomo, che aspira, anche nella propria quotidianità, ad una serenità superiore all’interno della quale comporre e risolvere le mille contraddizioni della vita. “Il matrimonio segreto”, con i limiti di una creazione artistica ma anche con chiarezza solare, dà ali e respiro a questo desiderio ineliminabile, curando le umane ferite con il balsamo del suo universo sonoro, all’interno del quale, come scrive Lorenzo Arruga ne “Il teatro d’opera italiano”, si incontra “la freschezza zampillante della felicità”. Che poi l’incanto si sia riproposto in questa occasione alla Fenice con tutta la sua cristallina evidenza, lasciando lo spettatore in quello stato di appagata beatitudine che richiama le stupefazioni dell’infanzia, sarebbe eccessivo affermarlo. Certo, tutto funziona nel complesso, ma manca quel pizzico di magia indispensabile per far lievitare lo spettacolo oltre il limite della collaudata professionalità e permettergli di approdare all’incantesimo, alla meraviglia. Così, il maestro Alvise Casellati, pur nell’economia di una conduzione apprezzabile e godibile, sembra talvolta spingere l’orchestra verso sonorità che si vorrebbero meno turgide, più leggere e trasparenti, lasciando desiderare in certi passi, a cominciare dalla ouverture, una ricerca più accurata di grazia, finezza e trasparenza. Così lo spettacolo, firmato per la regia da Luca De Fusco (scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, disegno luci di Gigi Saccomandi), è simpatico e gradevole, perché i protagonisti si muovono bene sul palcoscenico, sono caratterizzati in maniera precisa, sanno dove devono mettersi e cosa fare. E perché la scena – una sorta di quadreria fatta di sole cornici con poche e consuete suppellettili solo nel secondo atto – è vivacizzata dalla trovata di riempire i vuoti lasciati dai quadri assenti con delle immagini che esprimono i desideri, i pensieri e i retropensieri dei protagonisti. Che poi il regista abbia motivato questa scelta col fatto che una delle caratteristiche principali de “Il matrimonio segreto” sarebbe costituita dallo scarto tra immaginazione e realtà vissuto dai personaggi, sembra un particolare secondario, a fronte dell’oggettiva riuscita della sua intuizione di rappresentare le fantasie di chi sta in scena: in effetti, tutte le trame operistiche senza eccezioni prendono più o meno vita in virtù della distanza che separa, talvolta comicamente, talvolta tragicamente, il mondo che i personaggi immaginano e desiderano da quello reale. Tutto bene e tutto a posto, dunque, nell’allestimento. Ma anche niente di memorabile. A meno che non si voglia considerare tale – e di questi tempi potrebbe anche essere il caso – l’ambientazione e gli appropriati costumi, che rispettano i tempi originali dell’azione. Anche sul cast, quasi interamente al debutto nei ruoli rispettivi, si possono fare osservazioni simili. Si impone su tutti – e non può essere un caso - l’unico non debuttante, cioè il baritono Omar Montanari, che sa mettere a frutto la qualificata esperienza nel repertorio brillante per incarnare un conte Robinson proprio a puntino, per la vocalità corposa e rotonda, la varietà e la proprietà del fraseggio, l’esemplare chiarezza nell’articolazione della parola, la sobrietà e la disinvoltura in scena. Il tenore Juan Francisco Gatell è un Paolino ben calibrato per l’abilità e la cordialità con cui restituisce, attraverso la brillante vocalità tenorile, l’insicurezza venata di pavidità che contraddistingue il personaggio. Meno persuasivo il Geronimo di Pietro Di Bianco, la cui interpretazione del personaggio risulta un po’ anonima e il cui rendimento vocale non sembra favorito da una fonazione poco fluida e spontanea. Sul versante femminile, è applaudita calorosamente dal pubblico la Carolina del soprano Lucrezia Drei, che, con intelligenza ed arguzia, sa mettere bene in evidenza la semplicità, la spontaneità, ma anche la combattività della sposa segreta, che, alle prese con problemi che si ingigantiscono scena dopo scena, non se ne lascia schiacciare ma si fa forza per affrontarli, per sé e per il marito Paolino. Il personaggio emerge in tutta la sua immediata simpatia, anche se, quando la voce sale, si ascoltano suoni metallici, puntuti, che fanno desiderare di essere meglio coperti e ammorbiditi. Bene in parte anche il soprano Francesca Benitez, un Elisetta che, fra l’altro, viene a capo con sufficiente perizia e disinvoltura delle impegnative colorature disseminate nella sua aria “Se son vendicata”. Pienamente apprezzabile, infine, la Fidalma del mezzosoprano Martina Belli, che tiene bene la scena con una presenza convinta e convincente, ed esibisce un timbro pieno, rotondo, di bel colore, ed un’emissione omogenea e ben appoggiata. Alla serale del 14 febbraio il pubblico applaude con calore, felice di essere ritornato per un po’ di tempo in quella sorta di infanzia dello spirito, nella quale esistono solo bellezza e gioioso divertimento. Adolfo Andrighetti

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